Jim Morrison: il Re Lucertola

“Io non sarò mai nessuno, ma nessuno sarà mai come me.”

(“I will never be someone, but anyone will never be like me.”_Jim Morrison_)

jim morrison

James Douglas Morrison, o semplicemente Jim, nasce a Melbourne, in Florida (USA) l‘8 dicembre del 1943. Cantautore, icona del rock, poeta, leader carismatico e frontman della band statunitense The Doors, fu uno dei più importanti esponenti della rivoluzione culturale degli anni Sessanta, nonché uno dei più grandi cantanti rock della storia, diventato per tutti una delle icone della rivoluzione di costumi degli anni ’60, la quale ha trovato il suo sbocco politico nelle contestazioni pacifiste contro la guerra in Vietnam.

Impetuoso “profeta della libertà” e poeta maledetto, è ricordato come una delle figure di maggior potere seduttivo nella storia della musica e uno dei massimi simboli dell’inquietudine giovanile. Era soprannominato il Re Lucertola (da Celebration of Lizard, il suo poema) e venne paragonato a Dioniso, divinità del delirio e della liberazione dei sensi. Ha pagato con la vita i suoi eccessi, fatalmente contrassegnati dall’abuso di alcole e droghe. Jim Morrison è, con il chitarrista Jimi Hendrix e la cantante Janis Joplin, uno dei tre rocker caduti nella cosiddetta “maledizione della J”, caratterizzata dalla morte per tutti e tre i musicisti all’età di 27 anni e in circostanze mai del tutto chiare.

Autoproclamatosi il Re Lucertola, icona sessuale evocante Dioniso, divinità delirante e senza regole, Jim Morrison è stato anche e soprattutto un poeta, con due raccolte di versi di discendenza beat, ancora oggi lette e apprezzate non solo dai suoi fan, ma anche da una certa critica senza paraocchi. Nel 2008 inoltre, il cantante statunitense è stato posizionato al 47° posto tra i 100 migliori cantanti di sempre, stando alla nota rivista Rolling Stone. Un contributo importante al mito di Jim Morrison inoltre, lo ha dato senz’altro il regista Oliver Stone, con il suo film “The Doors”, uscito nel 1991 e molto apprezzato dal pubblico.

jim morrison e padre

Andando alla sua stretta biografia, va detto che il piccolo Jim non è un bambino facile. Risente dei continui spostamenti, causa il lavoro di suo padre, George Stephen Morrison, un influente ammiraglio della Marina degli Stati Uniti d’America il quale, molti anni dopo, si troverà nel Golfo del Tonchino, al momento del famoso incidente che avrebbe offerto agli Usa il pretesto per muovere guerra al Vietnam. Sua madre è Clara Clarke, ed è una casalinga, figlia di un noto avvocato. James cresce insieme alla sorella Anne Robin e al fratello Andrew Lee: un’educazione severa per lui come per i suoi due fratelli, con i quali non legò mai. Tutti e tre cambiano spesso scuola e amicizie, costretti all’instabilità. Appena tre anni dopo la nascita di Jim, da Pensacola, in Florida, la famiglia Morrison si trasferisce a Clearwater, sul Golfo del Messico. L’anno dopo, nel 1947, sono a Washington prima, ed a Albuquerque poi. Ed è proprio durante uno di questi spostamenti, in automobile, che Jim Morrison vive una delle esperienze che più lo segna nel corso della sua esistenza, fonte di ispirazione per diverse canzoni e, soprattutto, poesie. A detta dello stesso Morrison infatti, nel 1947 lui e la sua famiglia si trovano impelagati in un incidente, mentre percorrono il deserto tra Albuquerque e Santa Fe, nel Nuovo Messico. Qui, il piccolo Jim scopre per la prima volta la morte, scorgendo sulla strada una moltitudine di corpi appartenenti ad un gruppo di lavoratori indiani, della tribù Pueblo, molti dei quali insanguinati. Più in là, lo stesso cantante americano asserirà di aver sentito l’anima di uno shamano morto in quell’incidente entrare dentro di lui e influenzarlo per il resto della sua vita. Ad ogni modo, la famiglia continua i suoi spostamenti. Arrivano a Los Altos, in California, dove la futura rockstar comincia le scuole elementari. Tre anni più tardi scoppia la Guerra di Corea e il padre deve andare al fronte. Le conseguenze sono un nuovo trasloco, questa volta a Washington, nel 1951. L’anno successivo poi, si stabiliscono a Claremont, vicino a Los Angeles.

Nel 1955 il piccolo Morrison è a San Francisco, nel sobborgo di Alameda, dove prende parte all’ottavo anno di scuola. Due anni dopo, comincia il nono anno, rivelando tutte le sue qualità di studente modello, divoratore di testi filosofici e letterari, tanto da meritarsi alcune menzioni d’onore.

L’inizio della sua ribellione allo status borghese, se così si può dire, avviene nella libreria del poeta beat Lawrence Ferlinghetti, che dal 1958 Jim comincia a frequentare assiduamente, insieme ai locali poco raccomandabili della stessa San Francisco. Un breve scarto e arriva l’ennesimo trasferimento, questa volta di passaggio in Virginia, dove Jim stupisce gli insegnanti del liceo George Washington. Il suo quoziente di intelligenza è fuori dal comune e si attesta su 149.

mary werbelow

Tuttavia, il cambiamento è radicale e tra il 1960 e il 1961 avviene in lui qualcosa che, tra le altre azioni di ribellione confusa, lo porta a mancare clamorosamente la consegna dei diplomi, cosa che manda su tutte le furie suo padre. Viene allora mandato dai nonni in Florida, per frequentare lo Junior College di Saint Petersburg, con scarsi risultati: è ormai indirizzato sulla strada beat e anche il suo look, sempre più trasandato, ne risente. Passa alla Florida State University di Tallahassee e comincia a frequentare la studentessa Mary Frances Werbelow.

Il 1964 è un anno importante per Jim Morrison e per la sua famiglia. Il futuro rocker vuole andare all’UCLA, il centro sperimentale di cinematografia della California. Suo padre non è intenzionato a dargli i soldi per questa nuova impresa, che reputa inutile: vuole per il primogenito un futuro nell’esercito. Jim allora, come ammetterà più in là, si taglia i capelli, si ripulisce, indossa abiti puliti e affronta suo padre in una lunga chiacchierata di convincimento la quale, a ben guardare, sarà praticamente l’ultima tra i due. Così facendo, ottiene i soldi per l’UCLA. È il taglio definitivo, in realtà, con le origini e con la sua famiglia. Morrison arriverà a dichiarare persino di essere rimasto orfano.

L’UCLA si rivela un’esperienza tanto deludente quanto stimolante all’inverso: incompreso dal punto di vista registico (due dei suoi unici cortometraggi non godranno di grossa considerazione all’interno della scuola), Jim si butta nella letteratura e nella musica, che interpreta come un’occasione per fare poesia. Ai corsi, con lui, ci sono personaggi di spicco come Martin Scorsese e Francis Ford Coppola, che passano per quella facoltà, ma Morrison stringe i rapporti soprattutto con quello che sarà il suo futuro tastierista, Ray Daniel Manzarek. I due si conoscono sulla spiaggia di Venice, vero e proprio luogo scelto da Morrison per le sue peregrinazioni notturne, ormai votato all’alcol e alla vita bohemien. Un libro, oltre a “On the road” di Jack Kerouac, e alle poesie di Allen Ginsberg, sembra averlo appassionato più degli altri: Le porte della percezione, dello scrittore britannico visionario e geniale Aldous Huxley.

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L’incontro con Ray Manzarek porta alla nascita dei The Doors, un nome che omaggia il titolo del libro amato da Morrison e che a sua volta, si rifà ad un noto verso del poeta William Blake. I due dunque, impiegano poco tempo a dare vita ad una band, grazie soprattutto al repertorio di poesie di Jim, che per anni, in pratica, non ha fatto altro che buttare giù versi.
Il primo brano in assoluto che compongono, il quale però vedrà la luce discografica solo nel secondo disco dei Doors, si intitola Moonlight drive. Secondo alcuni racconti, Morrison avrebbe canticchiato nelle orecchie di Manzarek le prime strofe del brano, impressionando il pianista e convincendolo a mettere su una band di musica rock.

Un anno dopo, nel 1966, i Doors sono al Whisky a Go Go, il music club più noto di West Hollywood. Con i primi due, ci sono anche il chitarrista Robby Krieger e il batterista John Densmore: il primo darà vita a “Light my fire”, una delle canzoni più amate dai giovani di tutte le generazioni, caratterizzata da un lungo e lisergico assolo di Hammond firmato da Manzarek. Il pianista fa anche da basso, portando il tempo e i giri con la mano sinistra, contemporaneamente.

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Al Sunset Strip, la zona dei locali di Los Angeles, Jim incontra Pamela Courson, la futura Pam, l’unica donna che amerà e da cui verrà realmente amato.

Intanto, le esibizioni di Morrison scandalizzano i gestori dei locali e anche il Whisky a Go Go decide di allontanare la band, dopo una delle versioni più hot della nota canzone The End, che il front-man dei Doors canta e interpreta in un modo molto spinto, creando una comunione intensa e talvolta scandalosa con il pubblico presente. Nel giro di poco tempo, Jac Holzman, fondatore della casa discografica Elektra Records, ormai leggendaria, propone ai Doors un impegno contrattuale di sette album, in esclusiva.

Il 4 gennaio del 1967 l’Elektra pubblica il primo, storico, album di Morrison e compagni,che, come consuetudine dell’epoca, si intitola come il nome della band: The Doors. Il disco è una bomba e contende a Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles la palma della prima posizione americana. C’è di tutto: sonorità blues come la vecchia ballata Alabama Song, ritmi duri e brani arrabbiati come Break on through e Light my fire, scene visionarie e poetiche come The end e The Crystal Ships, unitamente a ritmiche latine, chitarre flamenco e ammiccamenti boogie da parte dell’organo di Manzarek. E, soprattutto, ci sono i versi di Jim e l’impatto lisergico della sua voce: mai perfetta, non eccezionale, spesso esclusivamente baritonale ma, tuttavia, enormemente carismatica.

Il tour che segue è un grande successo. In breve Morrison si ritaglia la fama di istigatore di folle, provocatore, ribelle. Durante i suoi concerti non dà freno a nulla: spesso ubriaco e sotto l’effetto di droghe, invita la gente a salire sul palco, provoca le forze dell’ordine, fa l’equilibrista sul palcoscenico, si tuffa tra il pubblico e simula orgasmi con la voce, a volte causando la fine improvvisa delle sessioni dal vivo. Soprattutto, cerca in tutti i modi di spogliarsi.

Il 1967 segna l’uscita del secondo album, Strange Days, il quale si attesta al terzo posto della classifica Billboard 200. Durante il tour, i Doors sono nei migliori locali d’America, dal Berkeley Community Theatre al Fillmore, al Winterland di San Francisco, fino allo storico Village Theatre di New York, le più importanti location rock del momento. In quella stagione, la band viene invitata al The Ed Sullivan Show, esattamente il 17 settembre. Si tratta del programma più seguito d’America, dove Jim si consacra come simbolo di ribellione. Il conduttore chiede al cantante di evitare la parola “higher” (riferita allo sballo da droghe) e prontamente, Morrison disobbedisce in modo provocatorio, pronunciando la parola in modo ancor più forte, direttamente davanti alla telecamera. Intanto, i The Doors sono già all’apice del successo.

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Il 9 dicembre successivo, arriva uno dei tanti arresti sul palco di Jim Morrison, causato dalle continue provocazioni da parte del cantante alle forze dell’ordine presenti in divisa. È una continua provocazione la sua, irrorata di alcol e portata all’estremo dagli allucinogeni, di cui Morrison è sempre più dipendente.

Nel luglio del 1968, quando i Doors sono sempre più croce e delizia del pubblico, arriva il disco Waiting for the sun, dal brano omonimo contenuto nel disco. Non è un lavoro eccellente dal punto di vista tecnico, ma sono presenti alcune delle canzoni più lisergiche della storia del rock, molte delle quali incentrate sulle esperienze allucinogene del cantante con la sua band. Ad esse, si affiancano alcuni brani d’amore, figlie della relazione sempre più tormentata tra Jim e Pam, come Love Street e Hello, I love you.

Arriva anche uno degli eventi più importanti, come l’atteso concerto all‘Hollywood Bowl di Los Angeles, considerato l’evento rock dell’anno. Qui però, a differenza delle ultime uscite, il front-man della band è concentrato sulla performance e non si lascia andare ai suoi soliti comportamenti. Cosa che invece accade durante tutti i successivi concerti, spesso interrotti e devastati dai fan, come quello al Singer Bowl di New York e a quello di Cleveland, dove Jim Morrison inaugura anche il tuffo sulla folla. Nonostante ciò, in quell’estate il singolo Hello, I Love You si attesta al primo posto in classifica.

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Icona sexy e rockstar incontrollabile, si fa immortalare per sempre nel celebre servizio in bianco e nero firmato dalla fotografa Joel Brodsky, chiamato The Young Lion (Il giovane leone). Tuttavia, da questo momento comincia il declino del cantante, che litiga sempre di più con il resto della band e con la sua compagna, ormai preda di alcol e droghe.

arrestoL’episodio peggiore è datato 1969, durante il concerto di Miami, al Dinner Key Auditorium. I Doors vengono da un lungo tour europeo più o meno di successo, e soprattutto dal tutto esaurito al Madison Square Garden. A Miami però, Morrison esagera, e il concerto degenera in una vera e propria sommossa: il cantante viene accusato di aver mostrato i genitali al pubblico, sebbene non vi siano prove contro di lui. Il 20 settembre del 1970, viene processato e condannato per atti contrari alla morale e bestemmia in luogo pubblico, ma non per ubriachezza molesta e oscenità. È l’inizio della fine.

Anche The soft parade, album uscito nel 1969, non convince il pubblico e si rivela un flop, con strani archi e sottofondi da camera che poco si uniscono al sound aspro e talvolta hard dei vecchi Doors. Inoltre, Morrison si fa arrestare nuovamente, questa volta durante un volo diretto a Phoenix, per ubriachezza e condotta molesta.

A febbraio del 1970, nonostante non sia stato un gran successo di vendite, vede la luce uno dei migliori lavori dei Doors, il disco Morrison Hotel, contenente la celeberrima Roadhouse Blues. È, o meglio, sarebbe potuto essere, l’inizio di una sfolgorante carriera di bluesman per l’interprete di The End, genere assolutamente nelle sue corde e in grado di “prestare il fianco”, grazie alla propria fisionomia musicale, alle intuizioni scrittorie del cantante.

jim morrison e patricia kennealy

Morrison non se ne rende conto più di tanto e, nello stesso anno, preda amatoria della giornalista e scrittrice Patricia Kennealy, si unisce a lei in una stramba cerimonia “pagana”, che avrebbe dovuto sancire la loro unione, dopo il momentaneo allontanamento da Pamela.

Dal punto di vista strettamente musicale, i Doors dal vivo non sono più quelli di prima. All’Isola di Wight, altro concerto leggendario, Jim inscena una delle sue peggiori performance, dichiarando alla fine che quella sarebbe potuta essere la sua ultima esibizione. Tuttavia, questa arriva il 23 dicembre successivo, al Warehouse di New Orleans, nel quale Jim Morrison dimostra di essere ormai arrivato alla fine della corsa: ubriaco, stravolto, completamente fuori giri e quasi sempre disteso sul palco. Nell’aprile del 1971, arriva un altro lavoro interessante, l’ultimo in studio della band, altra prova del talento blues di Morrison. Si chiama L.A. Woman e contiene brani di repertorio interessanti, come l’omonima canzone che dà il titolo al disco, o gli ottimi L’America, Love her madly e la celeberrima Riders on the storm.

LA MORTE

fat-jim-morrisonMorrison si trasferì con Pamela Courson a Parigi nel marzo 1971, con l’intenzione di dedicarsi solo alla poesia e smettere di bere. Il 3 luglio 1971 muore in circostanze mai chiarite del tutto nella casa in cui la coppia alloggiava da pochi mesi, l’ampia camera di un palazzo Beaux Arts del XIX secolo situato al n. 17 di rue de Beautreillis, nel quartiere de Le Marais. Secondo la versione ufficiale, viene trovato privo di vita nella vasca da bagno da Pamela.  Due giorni dopo, durante un funerale di otto minuti e alla sola presenza di Pam, dell’impresario dei Doors Bill Siddons, giunto frettolosamente dall’America, e della regista e amica di Jim, Agnes Varda, il “Re Lucertola” viene seppellito nel Cimitero di Père-Lachaise, quello degli artisti, con Oscar Wilde, Arthur Rimbaud e molti altri.

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A ventisette anni Jim trovò così la tanto decantata fine (“The End… my only friend, The End…”), lasciò tutto ciò che aveva alla sua amata Pam, inclusa l’ingente mole di manoscritti e taccuini. Molto del materiale letterario rimase tuttavia a Parigi. Dopo la morte di Morrison si fece un gran parlare della maledizione del famigerato Club 27 e cominciarono a fiorire le prime leggende: Jim fu “visto” a Parigi, Tangeri e New Orleans. I Doors superstiti realizzarono altri due album come trio e si sciolsero nel settembre 1972. Per il trentennale della sua morte, nel 2001, è stato pubblicato un DVD, The Doors – 30 Years Commemorative Edition, mentre per il quarantennale Manzarek e Krieger, con Dave Brock alla voce, hanno organizzato un tour mondiale per onorare l’amico scomparso.

DUBBI E TESTIMONIANZE SULLA MORTE DI JIM

Forse è stato un attacco cardiaco, com’è la versione ufficiale, ad averlo ucciso, causa l’eccesso di alcol. Forse una morte inscenata ad hoc per fuggire la CIA, incaricata di “fare fuori” tutti i miti della controcultura, i sovversivi come Morrison, come Janis Joplin, come Jimi Hendrix. O forse, come sembra più ovvio credere, date le sue frequentazioni parigine, una overdose di eroina pura. Molte sono e restano le congetture fatte sulla sua morte, per giunta a distanza di diversi decenni quasi impossibili da definire. La morte di Jim Morrison è rimasta avvolta nel mistero. I referti medici ufficiali parlano di arresto cardiaco avvenuto nell’abitazione del cantante, ma non fu mai eseguita alcuna autopsia.

JimMorrisonGraveSiteL’attuale tomba, un blocco di granito con epitaffio in greco antico, ha sostituito quella originale, che era sormontata da un busto marmoreo raffigurante Jim Morrison, opera di uno scultore jugoslavo, e che è stato trafugato dopo essere stato deturpato a più riprese con vernice, rossetto e graffiti. Nel 1995 gli eredi ripulirono la sua tomba e quelle circostanti e stanziarono un fondo per un sistema di sorveglianza permanente. Sulla lapide fu affissa una lastra di bronzo con l’iscrizione ΚΑΤΑ ΤΟΝ ΔΑΙΜΟΝΑ ΕΑΥΤΟΥ che fa riferimento all’estrema coerenza con cui egli condusse la sua vita fino al tragico epilogo, e la cui traduzione letterale è: FEDELE AL SUO SPIRITO (Daimón).

Alcuni sostengono che Jim Morrison sia ancora vivo e che abbia inscenato la sua morte per sottrarsi alla pressione della popolarità e dedicarsi alla poesia, magari assieme a Pamela. Si è anche ipotizzato che si sia trasferito in Africa seguendo le orme del suo poeta-culto, il leggendario Arthur Rimbaud, pare infatti che, all’inizio del 1967, Jim Morrison propose di inscenare la sua morte per portare il gruppo all’attenzione del paese. Fece anche la proposta di utilizzare il nome “Mr Mojo Risin” (un anagramma del suo nome, ripetuto a non finire nella celebre canzone L. A. Woman e significante anche una chiara allusione all’organo sessuale), per contattare l’ufficio una volta che si fosse nascosto in Africa.

tomba morrisonSteve Harris, assistente di Jac Holzman, ricorda che Jim Morrison gli chiese quali conseguenze avrebbe avuto la notizia della sua presunta morte. Morrison, ai tempi del flirt con la Werbelow, era anche incuriosito dalla sottrazione del corpo di Cristo dalla cripta a opera degli apostoli, e diversi amici convengono che questo era proprio il tipo di beffa che lui avrebbe voluto giocare al mondo. Ci sono poi i sostenitori della teoria del complotto, i quali affermano invece che la morte di Jim Morrison fu tutta una messa in scena orchestrata dalla CIA, – con la sua, anche quella di Jimi Hendrix, Brian Jones, Janis Joplin – per “far fuori” dalla circolazione questi artisti “scomodi” che con la loro musica inducevano milioni di fan a rifiutare la guerra in Vietnam e vivere in assoluta libertà secondo il modello della controcultura hippie. Si decise che i tre artisti erano figure dannose per la società poiché traviavano la gioventù e accrescevano il dissenso dell’opinione pubblica nei confronti degli Usa, e venne quindi architettata una cospirazione per eliminarli o renderli innocui. Nel corso di un’intervista rilasciata nel 2008 all’inglese Daily Mail, il tastierista ex Doors Ray Manzarek ha rivelato che Jim Morrison, un anno prima di morire, avrebbe fantasticato sull’intenzione di simulare la propria morte per trasferirsi alle Seychelles, dando nuovo vigore alle diverse leggende metropolitane nate nel tempo.

Nel corso degli anni sono state fatte innumerevoli congetture. Molti hanno sostenuto che era totalmente estranea alla sua figura una morte di infarto in una vasca da bagno (lo scrittore William Burroughs disse di considerarla “una storia assurda, inverosimile”) e che la vera causa del decesso sia stata invece un’overdose di eroina (o di cocaina). Jim Morrison, infatti, frequentava spesso il Rock ‘n’ Roll Circus, un locale notturno allora noto come luogo di ritrovo degli eroinomani. I detrattori di questa ipotesi affermano che Jim Morrison avesse timore degli aghi ipodermici, l’eroina però può essere assunta anche mediante inalazione. Morrison, peraltro, venne trovato nella vasca da bagno, che di solito è il primo posto in cui viene portata la vittima di un’overdose per tentare la rianimazione, e sulla sua tomba apparvero subito graffiti che dicevano “Abbiate pietà dei tossici”, “Morto di overdose”, ecc. D’altronde il rischio che l’eroina inalata risulti fatale è decisamente maggiore quando è in combinazione con l’alcol. Se tuttavia Jim Morrison avesse sniffato eroina, un esame del sangue l’avrebbe rivelato, oppure, in caso di iniezione, il medico avrebbe notato il segno dell’ago, ma il problema è che non fu effettuato alcun esame del sangue, nessuna autopsia e nessuna analisi accurata. Il dottor Max Vassille arrivò dodici ore dopo il decesso, manifestò perplessità sulla morte nella vasca da bagno ma aggiunse che se le dichiarazioni di Alain Ronay e di Pamela erano accurate – e nell’immediato non potevano essere smentite – era probabile che Jim Morrison fosse morto per attacco di cuore provocato da coaguli di sangue nell’arteria cardiaca. Ci sono poi altri elementi interessanti. Un amico pusher si confidò con Elizabeth Lariviere, detta Zozo, una modella amica di Pamela, preoccupato che Jim Morrison potesse essere morto in seguito alla droga che lui gli aveva fornito. La cantante Marianne Faithfull ha raccontato che il conte Jean De Breteuil “era spaventato a morte. Jim Morrison era morto di overdose e la droga l’aveva fornita lui. Jean si vedeva come il pusher delle star, e a un certo punto eccolo ridotto come uno spacciatore da strapazzo nei guai fino al collo”. I due partirono immediatamente per Casablanca. De Breteuil morì qualche mese dopo per overdose. Un altro episodio curioso fu lo strano annuncio della morte di Jim Morrison che diede in tempi record, la mattina del 4 luglio, il DJ americano Cameron Watson alla discoteca La Bulle, dopo essere stato avvicinato da due spacciatori di marijuana. Pamela, da parte sua, ha raccontato versioni diverse della storia. In linea di massima, affermò che lei e Jim passarono la serata al cinema, quindi al ristorante, infine sniffarono eroina a casa, Jim Morrison si sentì male e nella notte si immerse nella vasca da bagno.

images (1)Secondo il giornalista Sam Bernett, amico del leader dei Doors, Jim Morrison non sarebbe morto per cause naturali ma di overdose nel night club Rock ‘n’ Roll Circus. Bernett racconta che la sera del 3 luglio 1971 Jim Morrison, dopo aver bevuto birra e vodka, sniffò una dose massiccia di eroina e si chiuse dentro il bagno del locale. Mezz’ora dopo Bernett fu avvisato che Jim Morrison non usciva, buttarono giù la porta e lo videro steso per terra con la schiuma alla bocca mista a sangue. Un medico che era al night club in quel momento disse che si trattava di overdose, e così, per nascondere il tutto, il cadavere venne portato a casa e adagiato nella vasca da bagno, fingendo che fosse morto per cause naturali. A suffragare questa tesi si aggiungono altre testimonianze. Innanzitutto quella di Nicole Gosselin, una habitué del Circus presente quella notte nel locale, la quale afferma che il corpo di Jim Morrison “fu portato fuori di peso perché probabilmente già morto” passando per il locale che si trovava nel retro e comunicava col Circus, l’Alcazar. La Gosselin dichiara che conosceva il pusher che gli fornì la dose letale e che si trattava di eroina “pura al 90%, quando di solito lo è al 20-30%”. Dopo il decesso, il Rock ‘n’ Roll Circus fu al centro di voci di ogni genere, gli spacciatori vennero interrogati dalla polizia, ma ufficialmente nessuno svolse indagini sulla morte di Morrison. Un anno dopo il giornalista, nonché amico di Morrison, Jerry Hopkins si recò a Parigi per cercare informazioni sulle circostanze della sua morte: negli ambienti dei tossicodipendenti e dei frequentatori del Circus la “verità” che tutti conoscevano era proprio quella del Circus, ossia morte per overdose di eroina nei bagni del locale e successivo trasferimento a casa del corpo. La versione “ufficiale” del ritrovamento del corpo esanime nella vasca da bagno della sua abitazione, al contrario, era del tutto sconosciuta. Hopkins afferma inoltre che sia Pamela sia Danny Sugerman sapevano della morte di Jim Morrison al Circus per eroina ma decisero, per rispettare la memoria del cantante, di negare tale versione dei fatti. È per questo motivo, afferma Hopkins, che nella biografia Nessuno uscirà vivo di qui[14] vengono proposte entrambe le versioni, quella del Circus e quella della vasca da bagno: in tal modo i biografi ebbero modo di dire come andarono realmente le cose però in maniera “ambigua”, lasciando cioè il lettore senza certezze inoppugnabili. In seguito la versione del Circus è stata confermata da decine e decine di altre persone, fra cui lo stesso Densmore nella sua biografia, il giornalista Hervé Muller (che frequentò Jim Morrison a Parigi) e Oliver Wicker, direttore della rivista francese Le Globe.

Dunque, con ogni probabilità, nei giorni successivi alla morte di Jim Morrison fu messa in atto una “copertura” cinica e improvvisata, favorita da procedure volutamente permissive delle autorità locali, per far sì che la scandalosa overdose di eroina della rockstar americana, che avrebbe avuto pesanti implicazioni criminali e finanziarie, fosse ufficialmente dichiarata un comune attacco di cuore. Comunque siano andate realmente le cose, forse c’è da condividere la considerazione finale dei biografi Hopkins-Sugerman, secondo cui “a meno che non si tratti di un omicidio, poco importa come sia morto – un’overdose di qualcosa, un infarto, o semplicemente si sia ubriacato a morte (come in molti dapprima sospettarono). La questione di fondo resta quella del ‘suicidio’. In un modo o nell’altro, Jim è morto per autodistruzione, e scoprire in quale maniera è solo questione di determinare il calibro della metaforica pistola che lui stesso si è puntato alla tempia.”

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